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Self-publishing e royalties: serve la partita iva?

Beatrice Spada • nov 13, 2022

Una delle domande più spinose inerenti al self-publishing è se sia necessaria o meno l’apertura della partita iva per la dichiarazione delle royalties derivanti dalla vendita dei libri. La grande confusione al riguardo deriva sia dall’utilizzo della terminologia “royalties”, che va a imbrogliarsi con quella utilizzata nell’editoria tradizionale, sia dal fatto che non c’è una normativa specifica al riguardo, che possa mettere tutti d’accordo.
Proprio perché non c’è una normativa ad hoc, la risposta a questa domanda può essere solo un’indicazione generale e ogni caso specifico è bene che sia discusso con il proprio commercialista.
Premesso tutto ciò, vediamo come si sviluppa il discorso royalties nel self-publishing.

In generale, che cosa sono le royalties

Nell’editoria tradizionale, l’editore per poter pubblicare un manoscritto chiede all’autore la cessione dei diritti di sfruttamento economico dell’opera. L’autore non cede gratis questi diritti, bensì gli vengono riconosciuti dietro un compenso: le royalties. Trattandosi di proventi, quindi, derivati dalla cessione di diritti per opere artistiche e/o di ingegno, le royalties si configurano come “altri redditi”, nel momento in cui vengono dichiarati. Seguono, quindi, gli scaglioni IRPEF standard, a partire dal 25%, calcolati sul 75% del lordo, oppure sul 60% nel caso in cui l’autore abbia meno di 35 anni. (N.B. le agevolazioni sono soggette a variazioni nel tempo, per cui consiglio di vedere sempre la normativa più recente al riguardo). Sulle royalties non c’è tassazione INPS, a meno che l’autore non sia un lavoratore dello spettacolo, un giornalista libero professionista, oppure sia iscritto a una cassa professionale.

Le royalties nel self-publishing

Il self-publishing prende in prestito la parola “royalties” per definire i proventi spettanti all’autore dalla vendita dei suoi libri.
Nel caso del self-publishing non si può parlare di cessione di diritti per lo sfruttamento economico, perché i diritti restano di esclusiva proprietà dell’autore. L’autore, infatti, non firma un contratto di edizione con le piattaforme self, come Amazon KDP e simili, bensì firma un contratto di distribuzione dell’opera. Rispetto alla tipologia di distribuzione del libro, quindi, e i proventi derivanti, si possono configurare più situazioni che richiedono o meno l’apertura della partita iva.

Quando non serve la partita iva nel self-publishing

Per normativa e definizione, la partita iva viene aperta nel momento in cui la persona svolge un’attività professionale o commerciale abituale.
Pertanto, se la vendita dei libri è occasionale, ovvero i proventi sono inferiori ai €5.000, e la distribuzione si configura come indiretta (ossia avviene solo tramite store online di cui l’autore non è proprietario e per cui non ha il controllo), allora la partita iva può non essere necessaria. Attenzione, perché in questo caso anche l’attività pubblicitaria deve essere molto ridotta, altrimenti una consequenzialità nella promozione può configurare l'attività di vendita, o il tentativo di vendita, come abituale.
In questo caso, i proventi possono essere dichiarati come “altri redditi” e tassati come spiegato in precedenza, oppure possono essere dichiarati come derivanti da attività occasionale.
Consiglio di rivolgersi al proprio commercialista per valutare l’opzione migliore a seconda della propria situazione.

Quando occorre la partita iva da scrittore

Sempre nel caso di distribuzione indiretta, quindi la sola vendita tramite piattaforme specializzate, può accadere che l’attività di self-publishing non sia più occasionale, ma diventi abituale. Pubblicando e pubblicizzando i libri con regolarità e avendo introiti superiori ai €5.000 sopra menzionati, l’attività di self-publishing si può configurare come un’attività professionale vera e propria, e remunerativa.
In questo caso è necessario aprire partita iva come scrittore. Oltre che necessario, può essere anche utile poiché, se la situazione specifica lo permette, lo scrittore può godere del regime forfettario, con tassazione fissa e agevolata al 5% per i primi 5 anni e poi al 15% (più INPS).

Quando occorre la partita iva da editore

Può succedere che il self-publisher abbia molto successo con i suoi libri e voglia coronare il sogno di arrivare in libreria con il proprio prodotto, auto-edito, oltre che venderlo tramite Amazon KDP. Ebbene sì, lo può fare, ma occorre una partita iva da ditta individuale come editore. Per gli editori non c’è l’agevolazione forfettaria qualora si voglia vendere il libro fisicamente alle librerie, ma c’è l’IVA agevolata al 4%. Dal punto di vista della tassazione, ricordo che come ditta ci sono anche i contributi minimi obbligatori.

Questo è il quadro generale che viene offerto riguardo il self-publishing e la questione partita iva. Per l’appunto, non ci sono normative specifiche, anche se sarebbe auspicabile che ne applicassero, specie per la configurazione della partita iva da editore. Il self-publisher, di fatto, è editore di se stesso e dei propri libri e come tale andrebbe riconosciuto, nella specificità della situazione.
Ricordo ancora una volta che è bene discutere della propria casistica con il commercialista, per trovare la soluzione migliore rispetto alla propria condizione.

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